IL FATALE SONNO DELL'UMANITÀ

 

 

 

 

 

UNA FESTA DI SAN NIKOLAUS

 

 

 

Ci sono molti esempi per dimostrare come la rimozione della propria sofferenza distrugga la capacità di comprendere le sofferenze altrui. Mi atterrò a uno di questi esempi, apparentemente banale, e mi ci soffermerò per esteso.

Stavamo facendo una passeggiata in un bosco quando mi capitò di assistere a una festa. Più famiglie vi erano convenute coi loro figli, avevano acceso dei falò al margine del bosco e invitato san Nikolaus a partecipare alla festa. Tradizionale premessa di quest'invito è che le giovani madri abbiano informato l'uomo che appare nelle vesti del santo riguardo il comportamento e l'atteggiamento dei loro figli e che quello abbia registrato i loro peccati in un librone, in modo da poter parlare ai bambini come se sapesse già tutto. Le madri sperano di ottenere in questo modo un sostegno ai loro sistemi di educazione, e di fatto così avviene. Possono far riferimento a quella conversazione per tutto l'anno e dire: san Nikolaus vede tutto, ormai lo sai anche tu, bada che la prossima volta sia contento di te!

Come si è svolta la festa di cui sono stata per caso testimone? Innanzi tutto san Nikolaus ha prima rimproverato e poi lodato, uno dopo l'altro, circa dieci bambini. Una sola bambina non è stata rimproverata, evidentemente perché la madre non aveva sentito la necessità di comunicare in precedenza e per iscritto le mancanze di sua figlia a un estraneo.

I discorsi che Nikolaus faceva erano più o meno di questo tipo: «Dov'è la piccola Vera?» Si è fatta avanti una bambinella di appena due anni, dallo sguardo ingenuo e pieno di speranza. Ha guardato san Nikolaus dritto in faccia, curiosa. E lui: «Ascoltami, Vera, non sono affatto contento che tu non voglia rimettere in ordine da sola i tuoi giocattoli. La mamma non ha tempo da perdere e tu sei ormai abbastanza grandicella per capire che, una volta finito di giocare, devi rimettere a posto i tuoi giocattoli, e inoltre devi permettere anche al tuo fratellino di giocarci, senza voler avere tutto solo per te. Spero proprio che durante il prossimo anno tu sappia migliorarti in questo senso. San Nikolaus sbircerà nella tua stanza e verificherà se sarai più brava. Però ho visto anche delle belle cose: aiuti la mamma a sparecchiare la tavola dopo pranzo, e sai giocare e a volte anche disegnare da sola, senza fare i capricci e senza che la mamma debba starti accanto. Questo va benissimo, perché la mamma non può badare soltanto a te, deve provvedere anche a papa e al fratellino, e a volte ha bisogno che la sua piccola Vera s'arrangi da sola. Ecco, Vera, questo è tutto: hai anche imparato una canzoncina da cantare a san Nikolaus?»

Ma Vera si limitava a fissarlo, tutta spaurita, tanto che è dovuta intervenire sua madre a cantare la canzoncina che Vera aveva preparato. Alla fine la bambina ha avuto dal santo un pacchetto con dei doni.

Poi è venuto il turno di un bambino: «Ah, dunque tu sei Stefan, quello Stefan che continua a usare il succhiotto! Ma non lo sai che sei troppo grandicello ormai per il succhiotto?» (Stefan avrà avuto due anni e mezzo.) «Se hai portato il succhiotto con te, allora, già che ci sei, potresti consegnarlo subito a san Nikolaus.» (Risate degli altri bambini.) «No? Non l'hai con te? E allora stasera appoggialo sul comodino oppure dallo al fratellino. A te non serve più, sei troppo grande per il succhiotto. Ho anche notato che a tavola non sei molto educato, che ti intrometti sempre nei discorsi degli adulti quando parlano fra di loro: e invece devi lasciare che i grandi parlino, tu sei troppo piccolino ancora e non fai altro che infastidirli continuamente.»

Ho avuto l'impressione che il piccolo Stefan fosse sul punto di piangere, tanto si sentiva spaurito e umiliato davanti a tutti, e così mi sono intromessa per tentare di far capire a lui e agli altri che il bambino non era completamente dalla parte del torto. Ho detto: «Signor santo, lei ha appena affermato che Stefan è ormai troppo grande per il succhiotto, e ora gli dice che è ancora troppo piccolo per parlare a tavola. Credo proprio che Stefan capirà benissimo e da solo il momento in cui non avrà più bisogno del succhiotto.» A questo punto alcune madri mi hanno interrotta perché le mie parole non s'adattavano affatto al carattere della cerimonia, e una di loro mi ha rimbeccata: «Qui è san Nikolaus che decide ciò che Stefan deve o non deve fare.»

Ho così rinunciato ai miei buoni propositi e mi sono limitata a riprendere la scena con un piccolo registratore, perché non riuscivo quasi a credere alle mie orecchie. La scena è proseguita esattamente com'era cominciata: nessuno che facesse caso alla crudeltà, nessuno che vedesse le facce turbate (benché i padri continuassero a scattare foto col flash), nessuno che notasse che i vari bambini redarguiti non ricordavano più, alla fine, la poesiola o la canzone imparata a memoria, e non riuscivano anzi più a spiccicar parola, quasi nemmeno per dire grazie; che nessuno dei bambini sorrideva con spontaneità, che avevano tutti l'aria d'essere impietriti dalla paura. Nessuno che s'accorgesse che si stava commettendo, per gioco, un grave abuso ai danni dei bambini.

Così, per esempio, un bambino che non aveva forse nemmeno due anni è stato costretto a sentirsi dire: «Tu sei Kaspar, vero? Bene, bene, Kaspar, io t'ho visto, sai, mentre scaraventavi in giro i tuoi giocattoli ! È molto pericoloso, potresti colpire la mamma in testa, e così sarebbe costretta a restare a letto, non potrebbe più provvedere a voi, né cucinare e tu rimarresti senza mangiare. Oppure potresti colpire il papa o tuo fratello. E così loro dovrebbero restare a letto, e mamma dovrebbe occuparsi di loro, portar loro da mangiare a letto. E tu non avresti più tempo da dedicare al gioco, perché ti toccherebbe aiutare la mamma.» E così via, di questo tono.

Non ero del tutto certa che quel piccolino avesse poi capito davvero qualcosa, perché si limitava a guardare, tutto smarrito. Se però era in grado di recepire qualcosa, allora quello che coglieva erano il tono d'insoddisfazione e l'informazione di poter causare delle disgrazie in famiglia e di dover in tal caso, di conseguenza, rinunciare all'assistenza della madre a titolo di punizione. È assai dubbio invece che avesse davvero capito cosa lo rendeva pericoloso per la famiglia. Tuttavia, il suo disagio era più che evidente. E sua madre, tutta sorridente, non pareva accorgersene affatto.

Ogni bambino desiderava essere lodato dal santo, voleva sentirgli dire qualcosa di buono sul suo conto, ma prima di arrivare al 'buono' doveva sorbirsi una sfilza di rimproveri per le volte in cui era stato 'cattivo'. E a quel punto la sua spontaneità e la sua attenzione erano già turbate, perché il rimprovero creava paura e questa paura doveva essere rimossa per poter conservare un buon ricordo della festa: esattamente come i genitori dei bambini si aspettavano. L'inconscio non si libererà mai della certezza d'essere stato un bambino cattivo, ma a livello conscio il piccolo si atterrà per decenni alla versione secondo cui quella è stata una 'bella' festa. E così, in avvenire, i futuri genitori si comporteranno coi loro figli nello stesso modo e si aspetteranno che anche loro provino una grande gioia in occasione della bella festa, senza nemmeno chiedersi per quale ragione s'imponga a un bambino un simile trattamento.

La maggior virtù che san Nikolaus, nella sua veste di portavoce dei genitori, sapeva riconoscere ai vari bambini era la loro capacità di giocare da soli senza l'assistenza della madre. A uno di quei bambini ha addirittura detto, testualmente: «Ho qualcosa di positivo da riferire su di te: so che aiuti la mamma a sparecchiare la tavola, e questo è necessario perché la mamma non può far tutto da sola; ma non dimenticare di rimettere a posto anche i tuoi giocattoli, perché la mamma non ha tempo d'aiutarti e devi arrangiarti da solo.» Perfino quest'argomentazione è apparsa logica al santo: la mamma non è tenuta ad aiutare il bambino di tre anni, ma il bambino deve aiutare la mamma. E infatti la disponibilità a essere d'aiuto era una delle poche buone qualità riconosciute ai piccini: sai arrangiarti da solo, sei bravo nel rimettere in ordine i tuoi giochi, sai dividerli col fratellino e non hai bisogno della mamma. Rimproverava invece le tendenze dei bambini a interloquire, la loro riottosità, il loro non-essere-ancora-adulti, e i naturali bisogni di aiuto, d'affetto e di consolazione che ogni bambino prova. Infatti, occorre considerare che per un piccino di tre anni, il quale abbia un fratellino più piccolo e che debba assistere mentre la madre lo allatta, il succhietto spesso non è altro che una consolazione della solitudine in cui si sente. Lo aiuta nello sforzarsi a reprimere i sentimenti di gelosia che vorrebbe risparmiare alla madre.

A prima vista, è stupefacente che nessuno degli adulti si accorgesse della paura dei bambini e della funzione minacciosa di san Nikolaus. Le madri non avevano affatto l'aria di essere donne poco affettuose; si affannavano anzi nell'aiutare i bambini a cantare la loro canzoncina o a recitare una poesia. Era evidente il loro sforzo di offrire ai figli una bella festa, un'esperienza alla quale i bambini potessero in seguito riandare con gioia, commozione e gratitudine. Può anche darsi che abbiano raggiunto il loro scopo, se tutti i bambini sono poi riusciti a conservare a livello di consapevolezza solo il bel ricordo. Però è indubbio che i piccini hanno anche dovuto rimuovere delle sensazioni intense: la paura di fronte a quell'estraneo che, simile a un dio onnisciente, sembrava conoscere tutte le loro mancanze; la rabbia impotente di non potersi nascondere da qualche parte, come l'istinto infantile suggeriva; e la vergogna per quel pubblico rimprovero. L'aspetto peggiore era però costituito, secondo me, dal fatto che i bambini fossero lasciati soli con tutte queste loro sensazioni: le madri, sorridenti, non erano evidentemente in grado di capire, altrimenti non avrebbero mai esposto i loro figli a una simile situazione.

Perché quelle madri non erano nella condizione di poter capire? Perché — fatta eccezione soltanto per una — hanno tutte abbandonato i loro figli alla mercé di quell'estraneo, delegandogli la loro responsabilità? Perché hanno denunciato il bambino e consentito che fosse pubblicamente rimproverato da una persona a lui sconosciuta? Perché hanno permesso che altri bambini ridessero di lui? Perché hanno ritenuto che i loro figli dovessero sopportare queste sensazioni e non li hanno invece protetti? Perché non si sono identificate nel bambino indifeso?

La spiegazione più comune è sempre il richiamo all'eccessivo impegno che si pretenderebbe dai genitori nell'educazione dei loro figli. E così i genitori, probabilmente, pensano: l'aiuto che può venirmi da san Nikolaus è ormai istituzionalizzato, perché dunque non dovrei approfittarne, e trarre anch'io qualche vantaggio da una bella tradizione?

Eppure il san Nikolaus, al quale si fa risalire quest'usanza, era un vescovo che, nel periodo natalizio, distribuiva del cibo ai poveri senza unirvi delle pretese pedagogiche e senza minacciare nessuno con la frusta. Solo gli sforzi educativi dei genitori hanno fatto di lui un'istanza deputata al rimprovero e alla lode. Si è arrivati al punto che — ancora nella Germania dei primi anni dopo la guerra — san Nikolaus appariva a volte con un sacco dal quale spuntava la gamba di un bambino, perché il bambino rimproverato non dubitasse minimamente di poter essere rinchiuso anche lui nel sacco a causa delle sue marachelle.

Le informazioni che quella scena mi ha fornito mi hanno fra l'altro aiutata a comprendere l'atteggiamento dei genitori di oggi. Nell'esporre trent'anni fa i loro figli a una simile situazione gravemente minacciosa, i genitori non avevano certo offerto loro, allora, l'occasione di difendersi contro una simile crudeltà. I figli avevano quindi dovuto rimuovere i loro sentimenti. E nel momento in cui questi ex bambini diventano, oggi, dei padri e delle madri, e organizzano una festa di san Nikolaus, non è proprio il caso di stupirsi che la loro capacità di comprensione per i figli sia bloccata: perché le paure paniche rimosse trent'anni prima costituiscono, oggi, una barriera che li separa dalla vita affettiva dei loro figli. Quello che a me non è stato consentito di vedere non devi vedere nemmeno tu; quello che non ha recato danno a me, non danneggerà nemmeno te.

Ma è proprio vero che non ha arrecato loro alcun danno, che quella tradizione, per il solo fatto di manifestarsi fra luminarie e colori, sia qualcosa di bello, di positivo e innocuo? In realtà, allestendo simili spettacoli e comportandosi in questo modo, i genitori ingenerano nel bambino la spaurita convinzione di essere cattivo; una convinzione che continuerà a conservare sempre a livello inconscio. E contemporaneamente lo mettono nella condizione di non poter percepire la crudeltà che gli si infligge, e provocano quindi la sua futura cecità. Se le madri, trent'anni prima, non avessero dovuto rimuovere una identica forma di crudeltà, oggi avrebbero una sensibilità attenta per la situazione in cui si trovano i loro figli, e non consentirebbero certo che siano minacciati, impauriti, umiliati, pubblicamente derisi e lasciati soli. Non avrebbero bisogno di ricorrere tutto l'anno allo spauracchio di san Nikolaus per ricattare i figli ed educarli così a loro volta al ricatto. Si sforzerebbero invece d'impedire che i loro figli debbano rimuovere tante cose, e si adopererebbero perché, da adulti, possano affrontare con maggior senso della responsabilità i compiti che li attendono.

C'è chi mi accusa di esagerare quando parlo di maltrattamento di bambini anche nei casi in cui si tratta solo di forme d'educazione severe, ma, dopo tutto, 'normali', che non appaiono per nulla 'straordinarie'. Ed invece è appunto perché queste forme di educazione autoritaria sono così diffuse che occorre assolutamente esercitare forme di dissuasione.